Insonnia: perchè non sottovalutarla e come affrontarla.
L’insonnia è un disturbo molto comune associato allo stress. In questo articolo ti spiegherò quali fattori la favoriscono e ti fornirò alcuni consigli per affrontarla.
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L’insonnia è una condizione di alterata quantità, qualità e/o durata del sonno. Può essere stressante e spesso viene sottovalutata. L’insonnia può presentarsi con difficoltà di addormentamento, risveglio precoce e qualità del sonno non soddisfacente per almeno 3 volte a settimana per almeno 3 mesi. Se persistente, l’insonnia facilita la successiva comparsa di altri disturbi (e.g. Harvey, 2011; Staner, 2010): è la comorbilità del 60% di disturbo d’ansia generalizzato (Monti et al. 2000), del 41% di casi di depressione e del quasi 50% delle richieste per problemi di salute mentale (Stewart et al. 2006).

Perché soffriamo d’insonnia?

Ci sono alcuni fattori predisponenti: fattori di attivazione somatici (come asma bronchiale, ipertensione, malattie cardiovascolari, apnee notturne, OSAS), di iper-attivazione di tipo cognitivo ed emotivo (tendenza al rimuginio e/o al controllo, ansia, iper-vigilanza notturna ed altri) e legati all’età, ne soffre il 20% degli over 60 e la percentuale aumenta con l’avanzare dell’età (Ford e Kamerow, 1989).

Altri fattori influiscono invece sull’esordio del disturbo, che si manifesta come forma reattiva a eventi di forte stress, come lutto, separazione/divorzio, conflitti familiari/lavorativi, malattia/ospedalizzazione.

Ci sono poi dei fattori di mantenimento del disturbo, che sono spesso credenze errate sul sonno: ad esempio la tendenza ad attribuire all’insonnia delle conseguenze catastrofiche sulla propria salute, nutrire delle aspettative irrealistiche sul sonno, una errata valutazione delle cause dell’insonnia o la pretesa di controllare il proprio riposo, con conseguente eccessivo monitoraggio dei segnali di veglia e addormentamento.

Grazie al sonno sei in grado di alleggerire il carico di cuore e mente. Il riposo diminuisce la pressione sanguigna, facilita il processo di memorizzazione, l’elaborazione delle informazioni della giornata e il ripristino del funzionamento cognitivo. Ma addormentarsi non è però “spegnere l’interruttore del cervello”. Se volessimo paragonare il nostro cervello ad un computer, la fase del sonno sarebbe come mettere in standby il nostro PC, più applicazioni sono aperte, più lungo sarà il tempo di spegnimento. Così funziona anche la nostra mente: preoccupazioni, risoluzioni di problemi, programmazione/pianificazione del giorno dopo, attività attivanti, utilizzo dei social, la paura stessa di non riuscire a dormire e così via, sono tutti fattori che contribuiscono a rendere più faticoso l’addormentarsi. Puoi forzare l’arresto come sul tuo PC? La risposta è: “No”. Forzare il sonno alimenta l’iperattivazione fisica e mentale, perché ti costringe a monitorarti per capire se ti stai addormentando o meno, accrescendo di conseguenza una condizione di stress psico-fisico.

Quali sono le conseguenze?

Oltre alla stanchezza, tenderai ad essere meno performante, più irritabile e potrai provare disagio in alcuni contesti sociali. 

Cosa puoi fare dunque?

  1. Evitare sonnellini durante il giorno
  2. Non praticare attività fisica o mentale impegnativa prima di coricarci, ma tenere il corpo in forma facendo attività fisica leggera al mattino o nel pomeriggio
  3. La sera evitare l’uso abituale di caffè, nicotina, alcol e cibi pesanti
  4. Se assumi farmaci per dormire da più di un mese, consulta il tuo medico e programma con lui una strategia per ridurli gradualmente
  5. Se hai pensieri che potrebbero toglierti il sonno, trova un luogo e un momento nella giornata per ragionarci, ma facendo in modo che quel luogo non sia il letto e quel momento non coincida con l’addormentamento
  6. Ritagliati 20-30’ prima o subito dopo cena per te stesso, dedicandoti ai pensieri che solitamente disturbano il sonno. Siediti da solo in un luogo tranquillo con carta e penna scrivendo:
    1. Le cose rimaste in sospeso della giornata, come e quando farle
    2. L’agenda del giorno dopo
    3. Episodi significativi della giornata positivi o negativi e ciò che pensi e provi a riguardo
    4. Preoccupazioni future e le eventuali realistiche possibili soluzioni
    5. Scrivi la parola “FINE”, ripiega il foglio e riponilo in una busta o un cassetto
  7. Se durante il corso della serata riemergessero vecchie o nuove preoccupazioni, Ricorda a te stesso che hai fatto il possibile per occupartene e riporta l’attenzione aull’attività che stavi svolgendo
  8. Vai a dormire solo quando ti accorgi di essere assonnato e fai fatica a tenere gli occhi aperti
  9. Meglio usare il letto solo per dormire o attività sessuale
  10. Se ti svegli nel corso della notte, non indugiare troppo a lungo nell’attesa di riaddormentarti, ma alzati e vai in un’altra stanza
  11. Per ridurre l’attivazione fisiologica, pratica tecniche di rilassamento e adottare un atteggiamento di tipo Mindfulness
  12. Alzati preferibilmente sempre alla stessa ora

Una corretta igiene del sonno rende la tua vita più felice!

Riferimenti:

Harvey AG, Murray G, Chandler RA, Soehner A. Sleep disturbance as transdiagnostic: consideration of neurobiological mechanisms. Clin Psychol Rev. 2011;31(2):225–235. doi:10.1016/j.cpr.2010.04.003

Luc Staner, Comorbidity of insomnia and depressionSleep Med Rev. 2010 Feb;14(1):35-46. doi: 10.1016/j.smrv.2009.09.003. Epub 2009 Nov 25.

Jaime M. Monti, Daniel Monti, Sleep disturbance in generalized anxiety disorder and its treatment, Sleep Medicine Reviews, Volume 4, Issue 3, 2000, Pages 263-276, ISSN 1087-0792, https://doi.org/10.1053/smrv.1999.0096. 

Robert Stewart, MD, Alain Besset, PhD, Paul Bebbington, PhD, Traolach Brugha, MD, James Lindesay, DM, Rachel Jenkins, MD, Nicola Singleton, MSc, Howard Meltzer, PhD, Insomnia Comorbidity and Impact and Hypnotic Use by Age Group in a National Survey Population Aged 16 to 74 Years, Sleep, Volume 29, Issue 11, November 2006, Pages 1391–1397, https://doi.org/10.1093/sleep/29.11.1391

Ford DE, Kamerow DB. Epidemiologic Study of Sleep Disturbances and Psychiatric Disorders: An Opportunity for Prevention? JAMA. 1989;262(11):1479–1484. doi:10.1001/jama.1989.03430110069030

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