È difficile parlare di me, perché temo cosa tu possa pensare di me alla fine di questo racconto.
Probabilmente immaginerai che io sia un’incapace e forse hai ragione. Non mi sorprende che tu possa pensare questo, perché in fondo l’ho sempre pensato anche io di me.
Mia madre me l’ha fatto capire più volte quando ero piccola ed è sempre stata critica nei miei confronti. Quando sbagliavo mi faceva sentire umiliata, giudicata, non all’altezza. Avevo sempre paura di commettere un errore, perché sapevo che ad esso sarebbe seguita una dura critica. Non sto dicendo che mia madre fosse cattiva o che sbagliasse a farlo. So che lo faceva per insegnarmi a vivere e per farmi crescere; Forse (forse) quelle critiche le meritavo veramente. Mio padre invece era un brav’uomo, ma troppo assente per potermi supportare e capire.
Dev’essere stato in quel periodo che ho iniziato ad evitare determinate situazioni o persone. All’inizio questa cosa mi faceva bene, sentivo meno l’ansia e tutto sommato quello scappare non lo vedevo come un grosso problema. Non la consideravo una fuga, quanto piuttosto un rimandare. ‘’Lo farò più avanti, non è un problema’’. Invece lo era. Eccome se lo era. Non era più solo una questione di rimandare, ma di gestire poi l’ansia in tutti i suoi aspetti.
Ti faccio un esempio:
durante l’università dovevo presentare un elaborato ai miei colleghi durante una lezione frontale. L’idea di presentarmi davanti a loro era terribile. Già solo il pensiero di parlare in pubblico mi faceva vivere un’ansia e un’angoscia terribili. Non riuscivo a lavorare, a scrivere e a studiare per portare a termine il mio lavoro. Ogni volta che mi mettevo davanti ai libri o al PC, l’ansia diventava intollerabile e l’unico modo per non sentirla era alzarmi e fare dell’altro. Più passavano i giorni, più rimandavo e più questo senso di angoscia cresceva. Più cresceva l’angoscia e più non riuscivo a lavorare. Per farvela breve: non ho finito in tempo l’elaborato. Non solo, ma per la vergogna non mi sono più presentata a lezione perché troppo terrorizzata per quello che potevano pensare il docente e i miei colleghi.
Mi sono isolata.
È così che faccio solitamente. Mi sento diversa, ho paura che gli altri non mi sappiano capire, che possano ferirmi e farmi sentire come mi faceva sentire mia madre quando mi criticava. Temo di rivivere quell’emozione, quella sensazione sgradevole. La temo perché probabilmente mi ricorda ciò che penso di essere: inferiore. Inutile. Non amabile.
Il risultato però è che più mi distanzio dagli altri, più questi si distanziano da me. E di questa distanza io, pur prevedendola, ci soffrirò. Quando provo invece ad avvicinarmi lo faccio comunque con molta circospezione, un po’ per disabitudine e un po’ per timore, ma mi avvicino in un modo che risulta quasi impacciato e timoroso. E quando questo accade, percepisco in me e negli altri un forte senso di inadeguatezza. E a quel punto so che mi rifiuteranno. E, ancora una volta, io ci starò male.
Ora forse puoi capire quanto sia difficile affrontare la mia quotidianità, tessere profonde relazioni durature e raggiungere i miei obbiettivi di vita. Perché prima di poter fare qualsiasi cosa devo essere certa che sia la cosa giusta, devo essere certa delle mie capacità, devo sentirmi certa di poter piacere e di non essere rifiutata. Devo essere certa che saprò evitare di sentirmi non amabile.
Se vorrai entrare in relazione con me, cerca di tenere in considerazione tutti questi miei “devo”. Vorrei che tu possa avere pazienza e darmi il tempo di capire che non sono in pericolo e che, nonostante tu possa giudicare i miei comportamenti sbagliati, non mi rifiuterai. Vorrei che tu mi lasciassi il tempo di imparare a dialogare con te in maniera assertiva. Vorrei che mi aiutassi ad alleggerire questo peso che porto sempre sulle mie spalle.